Hans Op de Beeck. È di scena il silenzio / Silence on Show
Ilaria Mariotti | Arte e Critica 57, 3 January 2009
Ilaria Mariotti: In occasione della tua terza mostra presso la Galleria Continua presenti il video inedito Celebration: il sontuoso banchetto immobile che si staglia sull’improbabile setting del deserto dell’Arizona. Un ritorno al tema del banchetto ferocemente rappresentato in All together now... e The Stewarts have a party. Quale ruolo riveste questo tema nel tuo lavoro?
ODB: Certamente riveste un ruolo, ma non primario poiché nel mio lavoro sia l’uso eclettico di media ed estetiche diverse, sia la varietà dei soggetti su cui lavoro è molto ampia. Negli anni passati ho fatto circa 30 mostre l’anno e, da un punto di vista di contenuto, i soggetti trattati sono molto differenti. Nel progetto a cui ti riferisci ho provato a raccontare qualcosa sul nostromodo di vivere oggi, sulle strade che seguiamo e sul modo in cui cerchiamo – con grande inettitudine, di avere a che fare col tempo, con lo spazio e con gli altri. Con questi lavori provo a mostrare la povertà del nostro arrangiarci, della nostra costruzione del quotidiano, la goffaggine e l’assurdità con cui organizziamo il decoro delle nostre vite e, allargando, il modo in cui le organizziamo come una sequenza di abitudini sociali e rituali domestici. Da una distanza contemplativa, c’è qualcosa di tragico negli sforzi dell’uomo di distrarsi e di divertirsi.
Per coinvolgere lo spettatore sia intellettualmente che fisicamente, costruisco e organizzo contesti contemporanei fittizi, urbani e ordinari, situazioni e personaggi che possono apparire familiari allo spettatore. Questi includono luoghi solitari per la riflessione, come le ampie, desolate e silenti installazioni scultoree Location (5) e Location (6), ma talvolta faccio l’opposto, mettendo in scena, ad esempio, affollate scene di film, popolate talvolta da personaggi riconoscibili, vacui, tragicomici, come ad esempio nel video All together now... che riguarda i riti della famiglia occidentale.
IM: Il tema della finestra, dell’affaccio, ricorre in molti dei tuoi lavori, dalle installazioni ai video, agli interventimonumentali. Ciò implica la presenza esplicita dell’osservatore che è sollecitato ad utilizzarle. Quanta possibilità di interazione gli lasci e quali sono i display attraverso i quali lo coinvolgi?
ODB: La finestra si riferisce all’idea tradizionale della pittura come finestra sul mondo, che offre una vista su un mondo parallelo condensato che riflette aspetti del mondo reale ma che rimane fittizio. Di certo le viste che creo non sono necessariamente piacevoli, come accade nella vita reale. Di fatto provo a “mettere in scena il silenzio” per evocare una riflessione sulla nostra problematica condizione umana. Le scene e le viste create possono essere molto barocche e dettagliate e talvolta piuttosto esilaranti, ma molto spesso diventano anche molto minimali, moderate, serene e introspettive.
Non provomai a nascondere il fatto che si sta guardando a una costruzione. Giocando con la percezione della scala dell’osservatore, che uso in una dimensione ridotta, reale o sovradimensionata, spero che lemie “finestre” offrano esperienze terribilmente serie e allo stesso tempo ridicole. Il procedimento è paragonabile alla pittura tradizionale: spesso siamo consapevoli di guardare nient’altro che un sottile strato di pittura su una tela, ma allo stesso tempo c’è un invito all’osservatore a lasciarsi andare all’illusione creata e di prenderla sul serio come un’apparizione.
Neimiei lavori nonmi interessa troppo un’interazione letterale. Location (5), per esempio, è una costruzione di 200 mq, un dipinto tridimensionale, diciamo. All’installazione a dimensione d’uomo in pittura monocroma near si accede attraverso una scalinata che conduce ad una evocazione astratta di un buio autogrill dopo ore di autostrada. Camminando oltre il bancone e la cucina lo spettatore può prendere posto ad uno dei tavoli. Una scena notturna di un’autostrada, che si distende in lontananza illuminata da una luce stradale arancio, può essere vista attraverso la finestra. La costruzione dell’illusione è ottenuta dall’innalzamento della superficie stradale di 9 gradi e dalla distorsione della prospettiva che si muove verso l’orizzonte: la distanza dei lampioni diminuisce da 4 m a soli 40 cm, creando così un’illusione che va avanti all’infinito. Lo spettatore è invitato a sedersi nel primo “piano” dell’installazione, a prendere posto nel primo piano del “dipinto”.Ma non chiedomai allo spettatore di fare qualcosa in più che entrare nella costruzione, o sedersi in essa. Non c’èmai più interazione di questa; nonmi piace forzare la gente. Installazioni come Location (5) sono inviti aperti in mondi paralleli. Uno decide da solo se e quanto tempo spendere dentro ad essi.
IM: Nei tuoi lavori coesistono il carattere descrittivo (che trova nell’immobilità, nella sospensione, e nella resa del dettaglio lemanifestazioni più significative) e narrativo con la presenza di forti ellissi. I vari Location evidenziano, a mio parere, questo duplice aspetto della tua ricerca ma potremmo analizzare molti altri lavori.
ODB: Il mio scopo principale quando sviluppo un’opera d’arte è creare un’immagine fittizia (e non una ricostruzione né un’imitazione) che convogli stati d’animo ed esperienze vaghe o riconoscibili. Un ambiente simile è paragonabile ad un set cinematografico vuoto o ad un quartiere deserto, dove storie sono possibili e dove si può avere la percezione che qualcosa è appena accaduto o sta per accadere o, in alcuni casi, sta accadendo proprio in quel momento. Ambienti apparentemente semplici che derivano dalla vita quotidiana, consentono allo spettatore di identificarsi a colpo d’occhio con ciò che viene offerto. Partendo da quella prima reazione istintiva, dall’accettazione, chi guarda può sentirsi invitato a scoprire cosa è stato scritto tra le righe dell’immagine, quali proporzioni e dettagli specifici possono essergli ulteriormente svelati. Questi ulteriori strati, questo
lavoro di ascolto sottile, sia rispetto al contenuto che al livello formale di esecuzione in fatto di materiali e nell’uso o trattamento del tempo, di fatto creano e definiscono il lavoro comemezzo di comunicazione o, perché no, come opera d’arte.
Tutti imiei lavori, video, sculture, installazioni, fotografie e disegni hanno in comune il fatto di essere esplicitamente figurativi, o hanno radici figurative, pertanto potenzialmente tutti contengono elementi descrittivi e narrativi. E, naturalmente, si riferiscono all’eredità dei Maestri della storia della pittura. Ma io lavoro duramente per evitare l’aneddotica restrittiva, o la vuota ampiezza della Simbologia. Un’immagine non dovrebbe pretendere di essere più di un’immagine; un’immagine è già necessariamente e implicitamente complessa di per sé. La maggior parte del mio lavoro di artista è un tentativo di astrarsi da (cioè di isolare da un tutto più ampio), o di interpretare a fondo la complessità di quello che consideriamo o comprendiamo essere realtà. Concetti quali l’esperienza deltempo o l’assenza del tempo sono, sia per lo spettatore che per l’artista, strumenti importati per concepire e accogliere un lavoro d’arte. Trovare l’equilibrio ideale tra contenuto e forma, proporzione ed estetica, apparenza fisica e immateriale rimangono le occupazioni principali della ricerca dell’artista.
Ilaria Mariotti: For your third exhibition at Galleria Continua you show the new video Celebration: a tableau vivant of an opulent banquet which stands out against the unlikely setting of the Arizona desert. A recurrence of the theme of the banquet and celebration also fiercely performed in All together now... and The Stewarts have a party. What role does this theme play in your research?
Hans Op de Beeck: It plays a role, certainly, but not a major one, because both the eclectic use of diverse media and aesthetics in my works, and the range of subjects I work on is very, very broad. The past years I have had about 30 exhibitions each year, and content wise the subjects treated were quite different. In the projects you mention I try to tell something about the way we live today, the paths we follow and how we attempt – with great ineptitude – to deal with time, space and each other. With these works I try to show our poor daily life arrangements and constructions, the clumsiness and absurdity of how we stage our own life’s decorum, and, broader, how we stage our lives as a sequence of social habits and domestic rituals. From a reflective distance there’s something tragic to man’s efforts to entertain himself.
In order to involve the spectator both intellectually and physically I build and stage contemporary, fictive urban and household locations, situations and characters that can appear familiar to the viewer. These include lonely spots for reflection, like the large, desolate and silent sculptural installations Location (5) and Location (6), but sometimes I also do the opposite, by staging for example crowded film scenes, populated at times by recognisable, empty, tragicomic characters, as is the case in for example the video piece All together now... which is about western family rituals.
IM: The themes of the window and of the looking out recur in many of your works. We find them in your installations, sculptures and videos. They imply the presence of an observer who is invited to use the works. How much room for interaction with the work do you leave and in which displays do you involve the observer?
ODB: The window refers to the traditional idea of the painting being a window on the world, offering a view on a condensed parallel world that reflects aspects of the real world but which remains unreal. For sure the views I create aren’t necessarily pleasing as is the case in life as well. As a matter of fact, I try to ‘stage silence’ in order to evoke reflection on our problematic human condition. The scenes and views created can be very baroque and detailed and at times almost hilarious, but quite often they turn out to be very minimal, low key, serene and introspective as well.
I never try to hide the fact that you’re looking at a construction. By fooling around with the viewer’s perception of scale, which I use in a reduced, life sized or oversized way, I hope my ‘windows’ offer experiences that are both potentially dead serious and ridiculous. It is comparable with a conventional painting: one always realizes that one’s looking at nothing more than a thin layer of paint on a canvas, but at the same time there’s the invitation to the viewer to go along with the illusion created and take it seriously as an appearance.
My works are not so much about literal interaction. Location (5), for example, is a 200 square meter construction, a three-dimensional painting, let’s say. The life-sized installation in monochrome black paint is entered through a stairwell leading to an abstracted evocation of a dark motorway restaurant after hours that spans a motorway. Walking past the counter and the kitchen the spectator can take a seat at one of the tables. A night-time scene of a motorway stretching into the distance, lit by orange road lighting, can be seen through the windows. The construction of the illusion is achieved by raising the road surface by a 9-degree angle and by distorting the perspective as it moves towards the horizon; the lighting masts decrease from four metres to only forty centimetres, thereby creating an illusion of a view that goes on forever. The viewer is invited to sit down in the first ‘plan’ of this installation, invited to take place inside the foreground of the ‘painting’. But I would never ask the viewer to doing more than entering a construction or inviting him to sit down in it. There’s never more interactivity than that; I do not like to force people. Installations such as Location (5) are open invitations to a parallel world. One decides for one self if and how much time one spends inside.
IM: In your works there is a coexistence of both descriptive and narrative aspect. Simultaneously we see characteristics of immobility, suspension, attention to detail (descriptive forms) and the use of the ellipsis (in the narrative sequence). In my opinion Location (1-6) highlights this double aspect of your investigation but we cananalyse it in many other works too…
ODB: My main focus when developing an art piece is to create a fictional image (and not a reconstruction nor an imitation) that conveys a vague or more specific recognisable overall mood or experience. Such a surrounding is somewhat comparable to an empty film set or a deserted neighbourhood, where stories are possible and where one can have the feeling that something just happened or is about to happen, or, in some cases, is happening at that very moment. Seemingly simple surroundings deriving from daily life allow the spectator to, at a first glance, identify himself immediately with what’s offered. Departing from that first direct reflex of acceptance of the viewer, he may feel invited to discover what’s been written between the lines of the image, what proportions and specific details may then be further unveiled to him. Those extra layers and fine-tuning, both on the level of content and the level formal artistic execution in materials and the use or treatment of time, actually create and define the work as a means of communication, or, why not, as a piece of art.
My video works, sculptures, installations, photos and drawings all have in common that they are explicitly figurative or that they have figurative roots, and therefore they all potentially contain descriptive and narrative elements. And, of course, they do refer to the heritage of the old masters of the history of painting. But I always work hard to avoid the limited anecdote, or the hollow breadth of the symbolic. An image should not pretend to be more than an image; an image is already and necessarily implicitly complex by itself. A major part of my practice as an artist is the aim to abstract from (meaning: to isolate from a broader whole) or to thoroughly interpret the complexity of what we consider or understand to be reality. Concepts such as the experience of time or timelessness are, both for the spectator and for the artist, important tools for conceiving and receiving an artwork. Finding the ideal balance between content and form, proportion and aesthetics, physical and immaterial appearance remains the main occupation of the artist’s research.