Hans Op De Beeck, o di un’altra percezione
Daniela Trincia | Exibart, 20 October 2021
Una riflessione, quella di Hans Op De Beeck, sul tempo, sui disagi dell’esistenza, sulle speranze, sui sogni, sui timori, sulle illusioni, rendendo, cioè, visibile quello che è apparentemente invisibile, mediante quella percezione che travalica i normali sensi.
Sono di grande impatto, visivo ed emotivo, le opere realizzate da Hans Op De Beeck (Turnhout, 1969) per l’equilibrata e notevole, personale “The Boatman and Other Stories” che, tra acquarelli e sculture, vede l’esposizione di quasi una ventina di lavori, comprese le splendide “vetrine” Wunderkammer 11 e 12. È proprio l’uomo della barca / il barcaiolo (2020), a grandezza naturale, posto nel foyer dell’ex cinema di San Gimignano, a “traghettare” il visitatore nell’articolato percorso espositivo della Galleria Continua, nella sede di via del Castello 11. In piedi, a torso nudo, intento a sospingere con una (vera) canna di bambù la sua piccola imbarcazione ricolma di tutti i suoi averi, compresi un piccolo cane e una gallina, nonché di generi alimentari, The Boatman conduce la sua barchetta verso chissà quale destinazione, sicuramente alla ricerca di una vita migliore. Nelle recenti produzioni dell’artista belga, è da notare “Other Stories”: egli individua un soggetto centrale e, intorno ad esso, costruisce a raggiera, per l’appunto, altre storie (è stato così pure per The Horseman, anch’esso un nomade, un viaggiatore solitario, presentato sempre nella GalleriaContinua nel luglio 2020).
Storie che, nell’insieme, riflettono sulle fasi temporanee della vita e sulla sua stessa transitorietà. Una riflessione, quella dell’artista, compiuta attraverso sculture calate nella loro realtà, nella loro quotidianità. Astraendole, le sottrae da quello stato di rarità e unicità, per parlare di quell’universalità soggettiva, che attraversa da sempre la storia dell’uomo. Se, per alcune, utilizza il laborioso bronzo (come in Dog, il mesto cagnolino, steso a terra, con il muso poggiato sulle zampe e in Dancer), la maggioranza delle sculture è realizzata attraverso un complesso processo, con l’utilizzo di diversi materiali sintetici, come il poliestere, il poliuretano e la poliammide, resi compatti e omogenei dalla resina epossidica. Seppur iperrealistiche, esse non sono mai dei veri e propri reali ritratti, ma rievocano quella bilanciata bellezza astratta quasi botticelliana. Sculture che, da tempo, hanno rinnegato qualsiasi velleità coloristica (tranne che per i delicati fiorellini dell’albero custodino all’interno della Wunderkammer 12), e dal lattescente sono passate al grigio, quella sfumatura che le pone al di fuori delle aree nette del bianco e del nero. Avvolte e calate in un’atmosfera finanche malinconica e silenziosa, astratte dal contesto generale, isolate e fissate in un eterno istante di ora e adesso, e completate da una accattivante dovizia di puntuali dettagli.
Una riflessione, quella di Hans Op De Beeck, sul tempo, sui disagi dell’esistenza, sulle speranze, sui sogni, sui timori, sulle illusioni, rendendo, cioè, visibile quello che è apparentemente invisibile, mediante quella percezione che travalica i normali sensi. Sculture che sembrano essere state abbandonate da qualsiasi afflato vitale, colte nell’esatto istante di transizione, della re-azione ad una immaginabile causa. Così, quelle mani saldamente intrecciate dei due adolescenti di The Cliff (wall piece) (2019), seduti su una costola di roccia, con i piedi penzoloni nel vuoto, con la ragazza con lo sguardo perso in lontananza, smarrita in intimi pensieri e personali contemplazioni, ed il ragazzo, concentrato sul volto della giovane, immediatamente parlano di un imminente passaggio e cambiamento, tanto inarrestabile quanto inconvertibile, perché insito nelle cose stesse. Irreversibilità ricordata, infatti, dalla grande Vanitas XL (2021) e da Vanitas Table (the coral piece) (2021). Quel preciso istante di passaggio, congelato anche in Dancer (2019): una ballerina brasiliana, acchittata con il suo importante copricapo, con sandali rigorosamente col tacco a spillo, il reggiseno impreziosito di strass e pietre, il pesante trucco formalizzato dalle compatte e decise ciglia, è seduta sull’inconfondibile poltrona Chesterfield, intenta a fumare una sigaretta. È ripresa prima dell’esibizione? Oppure durante una pausa tra un ballo e un altro? Oppure alla fine dello spettacolo? Riflette sulla sua vita? Sulla sua stanchezza? O sulla bolletta ancora da pagare? Di lei non ci viene raccontato altro, se non questo suo momento di sospensione, di tregua, di intimità.
EN:
A reflection, that of Hans Op De Beeck, on time, on the discomforts of existence, on hopes, dreams, fears, illusions, making visible what is apparently invisible, through that perception that goes beyond the normal senses.
The works created by Hans Op De Beeck (Turnhout, 1969) for the balanced and remarkable solo exhibition "The Boatman and Other Stories" are of great visual and emotional impact, which, among watercolors and sculptures, sees the exhibition of almost twenty works, including the splendid "showcases" Wunderkammer 11 and 12. It is precisely the man of the boat / The Boatman (2020), life-size, placed in the foyer of the former cinema of San Gimignano, to "ferry "The visitor in the articulated exhibition itinerary of the Galleria Continua, in the headquarters in via del Castello 11. Standing, shirtless, intent on pushing his small boat full of all his possessions with a (real) bamboo cane, including a small dog and a hen, as well as food, The Boatman leads his little boat to who knows what destination, surely in search of a better life. In the recent productions of the Belgian artist, it is worth noting "Other Stories": he identifies a central subject and, around it, constructs other stories in a radial pattern (it was the same for The Horseman, also a nomad, a solitary traveler, already presented in the Galleria Continua in July 2020).
Stories that, as a whole, reflect on the temporary phases of life and its very transience. A reflection, that of the artist, accomplished through sculptures immersed in their reality, in their everyday life. By abstracting them, he removes them from that state of rarity and uniqueness, to speak of that subjective universality, which has always crossed the history of man. If, for some, he uses the laborious bronze (as in Dog, the sad little dog, lying on the ground, with the muzzle resting on his paws and in Dancer), the majority of the sculptures are made through a complex process, with the use of different synthetic materials, such as polyester, polyurethane and polyamide, made compact and homogeneous by the epoxy resin. Although hyper-realistic, they are never real portraits, but evoke that balanced abstract almost Botticellian beauty. Sculptures that, for a long time, have denied any coloristic ambitions (except for the delicate little flowers of the tree kept inside the Wunderkammer 12), and from the milky they have passed to gray, that shade that places them outside the net areas of the black and white. Wrapped and dropped into an atmosphere that is even melancholy and silent, abstracted from the general context, isolated and fixed in an eternal instant of the now and now, and complemented by a captivating wealth of precise details.
A reflection, that of Hans Op De Beeck, on time, on the discomforts of existence, on hopes, dreams, fears, illusions, making visible what is apparently invisible, through that perception that goes beyond the normal senses. Sculptures that seem to have been abandoned by any vital inspiration, caught in the exact instant of transition, of re-action to an imaginable cause. Thus, those firmly intertwined hands of the two teenagers of The Cliff (wall piece) (2019), sitting on a rib of rock, with their feet dangling in the void, with the girl with the lost gaze in the distance, lost in intimate thoughts and personal contemplations, and the boy, concentrated on the young woman's face, immediately speak of an imminent passage and change, as unstoppable as it is inconvertible, because it is inherent in the things themselves. Irreversibility recalled, in fact, by the great Vanitas XL (2021) and by Vanitas Table (the coral piece) (2021). That precise moment of passage, also frozen in Dancer (2019): a Brazilian dancer, caught with her important headdress, with strictly stiletto-heeled sandals, the bra embellished with rhinestones and stones, the heavy make-up formalized by compact and decisive eyelashes , is sitting on the unmistakable Chesterfield armchair, smoking a cigarette. Were you captured before the performance? Or during a break between one dance and another? Or at the end of the show? Do you reflect on her life? About her tiredness? Or on the bill still to be paid? We are not told anything else about her, if not this moment of suspension, of respite, of intimacy.